Un’analisi cruda sullo stato dei nostri mari, ma con la consapevolezza di avere gli strumenti per invertire la rotta.
Il libro di Giuseppe Ungherese, Non tutto è perduto (Casti Editore, 2022) è il frutto dell’esperienza vissuta in prima persona dell’autore come responsabile di alcune campagne di Greenpeace di ricerca e monitoraggio delle acque italiane dal 2017 ad ora. I dati emersi non sono confortanti ed emerge un quadro di anno in anno peggiore, soprattutto sul fronte plastiche e microplastiche. Ma secondo l’autore non tutto è perduto. Si tratta di una sfida epocale che tutti noi dobbiamo condurre per dare un futuro al pianeta e alle generazioni future. A differenza di qualche anno fa esiste una maggiore consapevolezza ambientale e ci sono dati e strumenti per intervenire in maniera seria per migliorare la situazione. Ma come? Lo abbiamo chiesto direttamente all’autore in questa intervista in cui ci anticipa alcuni contenuti del libro che è un invito non solo alla consapevolezza della situazione, ma anche all’azione per tutti noi e per gli attori politi ed economici in campo.
Innanzitutto, dal lato della sua esperienza ci dica in maniera cruda qual è lo stato del nostro mare…
Il nostro mare, come tutti gli ecosistemi naturali, soffre in conseguenza dei massicci impatti connessi alle attività umane: cambiamenti climatici, pesca eccessiva, processi di acidificazione e inquinamento. Negli ultimi anni quella della contaminazione da plastiche e microplastiche è diventata la minaccia più visibile che non sfugge al nostro sguardo. Un fenomeno recente figlio del modello produttivo delle ultime decadi e che quotidianamente assume proporzioni sempre più elevate tant’è che ogni minuto, di ogni giorno, un camion pieno di rifiuti plastici viene riversato nei mari del Pianeta.
Dal 2017 ad oggi lei, in qualità di responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace, assieme al suo team ha compiuto indagini sullo stato delle acque in vari punti della costa italiana. Che evoluzione c’è stata in questi cinque anni?
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di coordinare per Greenpeace alcune spedizioni di ricerca lungo le coste italiane. I dati che ci hanno restituito le indagini effettuate dagli scienziati che erano a bordo con noi ci hanno restituito un quadro sempre più allarmante e, purtroppo peggiorativo, di anno in anno. Nemmeno i dati del 2020, anno del lockdown in cui abbiamo assistito a diversi miglioramenti temporanei a livello ambientale, hanno fornito un riscontro migliorativo rispetto agli anni precedenti.
Secondo lei le responsabilità della salute dei nostri mari, in genere, ricadono più sulle amministrazioni locali o sugli attori economici in campo che non rispettano le leggi?
Il mare è un bene comune e se il mare soffre bisogna intervenire a più livelli. Vista la gravità delle emergenze ambientali dei nostri tempi ognuno di noi, con le proprie azioni quotidiane, può e deve contribuire a fare la differenza. Però con molta onestà devo ammettere che questo potrebbe non bastare. A mio avviso, per rispondere in modo adeguato all’urgenza con cui è necessario intervenire, servono azioni incisive sia da parte della politica che del mondo dell’impresa e qualcosa di buono, almeno nel contrasto all’inquinamento da plastica, sta succedendo.
Quali sono le maggiori sostanze inquinanti presenti nei nostri mari? Dalle analisi quali sono le zone in Italia che presentano maggiori criticità e di che tipo? Di contro ci sono aree in cui nel tempo la situazione è migliorata?
Se limitiamo il discorso alle plastiche, la minaccia più subdola e più allarmante è senza dubbio rappresentata dalle microplastiche: minuscole particelle, inferiori ai cinque millimetri, e per lo più invisibili ai nostri occhi che hanno invaso ogni angolo dei mari incluse aree difficilmente accessibili all’uomo come la Fossa delle Marianne, la depressione più profonda del Pianeta. Purtroppo, la loro presenza non rimane confinata alle acque marine ma, può risalire la catena alimentare e attraverso gli organismi marini come molluschi, crostacei e pesci o il sale da cucina può raggiungere le nostre tavole.
Il problema legato all’inquinamento da minuscole particelle trova proprio nelle acque di alcune aree costiere italiane picchi di contaminazione come, ad esempio, alle isole Tremiti o nell’area marina tra l’isola di Capraia e la Corsica dove, in alcuni periodi dell’anno, la contaminazione raggiunge livelli paragonabili a quelli presenti nei grandi vortici oceanici trasformando il mare in una vera e propria zuppa di plastica.
Il titolo del suo libro è un messaggio di speranza. Come pensa possano migliorare le cose?
Oggi, oltre a molteplici soluzioni immediatamente attuabili, abbiamo un ampio bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche per affrontare, concretamente e in modo risolutivo, le grandi emergenze ambientali. Delle numerose soluzioni, alcune delle quali già adottate da alcune aziende o in alcune nazioni, do ampio conto nel libro. Mi auguro possano essere una importante fonte di ispirazione.
Esiste, secondo lei, nella cosiddetta opinione pubblica italiana, una coscienza ambientale di massa? Se si, che ruolo può avere nel migliorare le cose…
Fortunatamente si. La conoscenza e la consapevolezza dei grandi temi ambientali è molto diversa rispetto ad alcuni anni fa. Questi sono aspetti assolutamente positivi che posso spingere la politica e le aziende a intervenire in modo repentino per tutelare un grande bene comune come il mare. Mare da cui dipendiamo per la nostra vita, dato che, ad esempio, produce la maggior parte dell’ossigeno sul pianeta e da un mare in salute possiamo solo beneficiare.
Ci parli di un aspetto del libro o della sua professione che ha cuore e di cui non abbiamo fino ad ora parlato…
Di fronte alle enormi sfide che abbiamo di fronte non bisogna mai scoraggiarci. Ma una piena consapevolezza della gravità della situazione deve essere la molla che fa vestire, a ognuno di noi, i panni dell’attore del cambiamento.
Sulla plastica, ad esempio, possiamo invertire la rotta, riducendo fin da subito la produzione a partire dalla frazione spesso più inutile e superflua rappresentata dall’usa e getta.
Per la Terra e il nostro mare, il più grande ecosistema planetario, con le loro straordinarie bellezze e le magnifiche creature che li popolano non tutto è perduto. Possiamo ancora salvarli e noi con essi. Basta volerlo ma bisogna farlo in fretta, non dobbiamo sprecare altro tempo.
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