Natural Mania a colloquio con l’urbanista, professor Giovanni Allegretti, ricercatore senior presso l’Università di Coimbra dove co-dirige l’osservatorio ‘People’, sulla partecipazione, innovazione e poteri locali.
Il tema della partecipazione in questa epoca storica è legato a doppio filo con quello della vivibilità e della sostenibilità ambientale delle città di oggi e di domani, tutto questo per evitare un possibile collasso sistemico dovuto a una società sempre più eterogenea e frammentata, sempre meno legata al sistema classico della democrazia rappresentativa, di cui non si fida, e che chiede di poter contare e partecipare alle scelte di interesse collettivo e far valere le proprie ragioni nel nome di una cittadinanza attiva e interessata al miglioramento del contesto urbano in cui vive.
La sfide della città del domani all’insegna della vivibilità, della sostenibilità e del ritrovo di spazi comuni. In che modo un ente pubblico è chiamato a coinvolgere i cittadini nelle scelte urbanistiche?
“Spesso tante città avviano percorsi partecipativi senza aver ben chiaro cos’è’ la partecipazione, il comune gestisce dall’interno i processi decisionali senza consultare nessuno e allo stesso tempo si ha la tendenza ad esternalizzare i progetti affidandoli a privati per sopperire alla carenza sia di personale interno che di risorse. Le faccio l’esempio di La Spezia, dove faccio il consulente alla partecipazione, e dove la precedente amministrazione ha realizzato nel 2005 una piazza (piazza Cavour) senza consultare nessuno e dove ora, viste le gravi criticità emerse una volta terminata, c”e da rimetterci mano. Stiamo avviando un percorso partecipativo e di ascolto che punti non a demolire ma a toccare la piazza per migliorarla. Bisogna lavorare con chiunque voglia dare il suo apporto chiedendosi le ragioni perché’ questa piazza non funziona, ragionare in termini minimalisti e cercare di ridarle l’importanza che merita. Una delle tappe importante di questo percorso prevede che gli Spezzini si esprimano su 11 ipotesi progettuali, ma questa non sarà decisamente l’ultima tappa del percorso”.
Quali possono essere le ragioni perché un’amministrazione invece di procedere per conto suo, come da mandato elettorale, si rivolga ai cittadini per prendere delle decisioni?
“Le città future devono fare i conti con i vincoli urbanistici e i bilanci pubblici sempre più restringenti, problemi di natura ambientale e problemi legati all’antisismico. Il processo decisionale è decisamente più complesso di quanto non lo era qualche anno fa. Ora per esempio tutto il territorio nazionale è considerato antisismico, anche la Sardegna che non lo è per niente. Tutto questo non ha senso ma è così, bisogna per questo fare i conti con tutto quello che questo comporta in termine di oneri burocratici e costruttivi. Altro dato di fatto è quello di essere, fortunatamente, in un epoca di sensibilità verso l’ambiente ma che a volte degenera in una tendenza al ricorso ad azioni giudiziarie per bloccare le opere. Nei percorsi che portano all’approvazione di un opera devono collimare le visioni di chi reputa importante il cambiamento con chi invece pensa che sia indispensabile mantenere la memoria storica dei luoghi dove si va ad operare. In poche parole in un’epoca di diritti collettivi e partecipazione, si è entrati in un clima di elevato ricorso al potere giudiziario e amministrativo per dirimere i conflitti tra cittadini e amministrazione, che di fatto bloccano per mesi se non per anni la realizzazione di un’opera. Per tutte queste ragioni sopra elencate i percorsi partecipativi hanno il ruolo cruciale di evitare tutto questo, lavorare con i cittadini per un processo partecipativo quanto più comune e quanto più condiviso”.
Ci illustri le ragioni che portano una parte della cittadinanza a voler contare e partecipare al processo decisionale e in che termini…
“I cittadini italiani, come è ben noto, non hanno fiducia che un opera arrivi a buon fine in tempi normali a causa di decisioni spesso improvvisate, ricorsi giudiziari e lungaggini burocratiche, per non parlare della corruzione. Un esempio dove la partecipazione ha permesso lo sblocco di un’opera: la gronda di Genova, più di 20 anni per far partire il progetto, nel 2010 la Sindaca Marta Vincenzi avviò un percorso partecipativo per concertare la soluzione migliore e il risultato, seppur dilatato nel tempo, c’e’ stato. Il progetto diventato esecutivo tocca meno abitazione e soddisfa la popolazione. Io che ho gestito per la Regione Toscana questi processi posso dire che in Italia, a causa dei troppi esempi negativi, i cittadini chiedono di continuare anche dopo la decisione chiedono di fare gli osservatori. I cittadini vogliono una voce di controllo in ogni fase. Un’altra caratteristica è il riuso delle strutture cambiando il fine. Molte volte le amministrazioni si ritrovano nelle condizioni di non avere personale per il cambiamento di uso, per questo gruppi di cittadini vogliono autogestire il patrimonio che viene messo a disposizione per fini sociali. Una scuola trasformata in centro diurno per anziani per esempio, ma tante altre realtà. Il settore privato garantisce il volontariato e il pubblico i soldi per il mantenimento. Nascono così delle sinergie positive tra pubblico e e privato inteso come singolo o gruppi di persone con accordi standard. Ci sono tutta una serie di complessità che le amministrazioni devono affrontare senza essere preparate e per questo è necessario rivolgersi ai cittadini e alle associazioni”.
Esistono percorsi partecipativi di facciata e altri più concreti, come distinguerli?
“Per arrivare ad esperienze con buon esito è essenziale che si arrivi a far sì che il cittadino o meglio gruppi di cittadini possano in qualche modo partecipare alla fase decisionale, ma anche monitorare il tutto fino all’ultimazione dell’opera. A me interessano maggiormente gli esisti dei percorsi partecipativi più che il percorso stesso. La smart city valorizza la partecipazione insegnando a usare le infrastrutture quando vengono fatte. Un buon percorso partecipativo va valutato in base a quanto il cittadino è centrale e quanto in concreto può influenzare la decisione. Tutto ciò che compromette la centralità del cittadino ammazza la partecipazione del processo. Un altra metrica per valutare la concretezza del processo decisionale è quello di capire se la partecipazione è più qualitativa che quantitativa o viceversa, tante assemblee affollate si distinguono perché parlano solamente i soliti improvvisati capopopolo. In questo caso il percorso è numerico ma non qualitativo. Spazi a geometria variabile, questi processi hanno bisogno di tappe in modo da aggregare tante più persone possibile.
Un buon processo è quello che coinvolge le amministrazioni nel profondo, deve far si che il metodo partecipativo diventi uno standard.
Con il solo volontariato non è possibile fare una partecipazione continuativa, c’e’ bisogno di risorse e materiali che permettano di lavorare e studiare tutte le fasi del processo, compreso la delicata e cruciale fase realizzativa”.
Ci parli della storia della partecipazione in Italia negli ultimi 20 anni e in quali città e in che termini è risultata maggiormente incisiva…
“La situazione si presenta a macchia di leopardo, sia geograficamente che temporalmente, infatti in alcuni periodi si è puntato di partecipazione altri meno. La prima fase risale agli anni 2000 ed è quella dei piani integrati, si pensi che nel 2007 vi erano circa 150 piani partecipati, poi c’è stato il crollo. Anche il discorso geografico si presenta frastagliato, per esempio Emilia Romagna e Toscana hanno avuto un periodo iniziale più concertativo che partecipativo, in quanto gli interlocutori non erano i cittadini ma le categorie e sindacati. Distinguere partecipazione con concertazione è importante, sono diverse qualitativamente e non vanno confuse. Va evidenziato che le città del sud Italia hanno avuto dei percorsi partecipativi minori, mentre la maggior parte dei percorsi partecipati sono avvenuti in Lombardia, Lazio e in molte città del nord. L’unica che ha avuto una continuità è stata Torino, dove i percorsi si sono susseguiti negli anni e con le amministrazioni diverse. Anche Bologna ha una certa continuità, tranne il quinquennio di Guazzaloca, è passata nel tempo da un sistema concertativo a uno partecipativo. Attualmente ha un bilancio partecipato e regolamentato per i beni comuni, incentrato sull’autorganizzazione del singolo cittadino. Vi è stato un cambio di paradigma qualitativo. Le giunta 5 Stelle di Roma dopo un primo periodo di incertezza stanno prendendo il via con la partecipazione, diciamo che è cambiato il modo, la loro è una partecipazione molto più ideologica di controllo della partecipazione di coinvolgimento nei processi. A Milano paradossalmente Sala mi pare più orientato a fare percorsi partecipativi di Pisapia. Non ha la visione del politico ma del tecnico interessato al cittadino che porta idee nuove. In conclusione la partecipazione nella città futura si prospetta come indispensabile per cui è imperativo deliberare insieme, lavorare insieme per attirare risorse e visualizzare e realizzare opere collettive”.
Come invogliare il cittadino a partecipare al processo decisionale, anche nella prospettiva dei progetti per le città future?
“Partecipare al bilancio è più semplice che partecipare a disegnare uno scenario futuro, perché la classe dirigente tende a non capire il linguaggio tecnico che ci sono dietro i discorsi sulla città futura. Per attirare le risorse migliori bisognare dare sbocchi immediati ai problemi, andare a cercare cittadini che sappiano fare determinate cose. C’è bisogno di individualità valide che soddisfino i bisogni di determinati gruppi di cittadini. Un percorso con la porta aperta necessità di un livello di trasparenza delle decisioni maggiore data la presenza di un maggior numero di individualità. La partecipazione deve avere l’obbiettivo di rappresentare le istanze degli esclusi, di chi non parla e di con può parlare. Rendere il rapporto con la natura, con gli attori che non sono presenti come i bambini, gli anziani, gli immigranti.
Il bambino è la metafora dell’altro, tutto ciò’ che non è uomo bianco di mezza età con il posto fisso e che non è rappresentato nei luoghi classici dell’ascolto.
Se oggi la legislazione toscana obbliga ad un percorso diagnostico del territorio tra uomo e natura, per esempio le linee verticali per cui i prodotti vanno verso la vendita. Il fine è il mantenimento delle relazioni sociali che sono complesse ma che vanno rese complessive”.
Qual’é l’ideale di agorà futura nei processi partecipativi?
Tutte le città future devono essere ibride quindi per esempio aperte ai processi digitali ma anche a quelli umani, devono essere i luoghi del contraddittorio, dove imparare a dialogare e capirsi. Essenziale per questo la rotazione dei ruoli, realizzare dei percorsi dove si apprendere facendo, e un insieme forte e condiviso di dritti e doveri. Tutto questo affermare una volta per tutte che la partecipazione va fatta bene perché risulti efficace e fruttuosa. Per esempio i percorsi partecipativi non devono coprire un solo obbiettivo e spesso le motivazioni esterne per cui un cittadino o gruppi di cittadini sono indotti ad intervenire nella cosa pubblica variano di paese in paese, da noi per esempio viene fatta per sfiducia nelle istituzione, nel nord Europa si fa perché nella società non esiste più qualcosa di coeso, mentre in Africa per trovare risorse e legittimare le istituzioni democratiche. Un fattore chiave per l’efficacia dei processi partecipativi è quello di cercare coerenza tra mezzi e obbiettivi, se fai assemblee affollate dove parlano sempre gli stessi si punta alla quantità e discapito della qualità che invece andrebbe cercata nei cittadini che sono competenti in quella determinata materia, ma che per varie ragioni non si sentono coinvolti e rimangono ai margini. Un freno oggettivo allo sviluppo della partecipazione attiva è dovuto al fatto che le forze politiche classiche (partiti, sindacati e rappresentanze varie) non amino molto la partecipazione perché la vedono in concorrenza con il loro ruolo, invece i percorsi politici delle città future devono essere fluidi, nascono naturalmente imperfetti e per questo ha bisogno di monitoraggio e valutazioni constanti da parte dei cittadini. E’ un percorso produttivo e incrementale che deve perfezionarsi nel tempo, monitorarsi, valutarsi e migliorarsi”.
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