La mia Indonesia: sei settimane con AIESEC a Surabaya in nome della salvaguardia dell’ambiente e della lotta alla plastica.
In un mondo che tende più a chiudersi a riccio, impaurito e diffidente verso l’altro e il diverso le iniziative di volontariato internazionale sono importanti per combattere questi fenomeni legati ad una persistente instabilità politica ed economica globale, per non parlare degli impatti socio-economici che stanno generando i cambiamenti climatici.
In questo quadro non confortante associazioni come AIESEC con i loro progetti di volontariato internazionale (Global Volunteer) giocano un ruolo importante e fondamentale nello sviluppo dell’uomo del domani, aprendo nuovi orizzonti alle persone che partecipano e dando un contributo piccolo ma significativo al miglioramento della qualità della vita nei paesi dove operano. Natural Mania Magazine ospiterà nei prossimi mesi le esperienze di volontari di AIESEC per quanto riguarda i progetti relativi alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento in generale. Ecco il primo dettagliato ed appassionato racconto da Vittoria, una giovane volontaria romana, andata sola soletta a Surabaya in Indonesia.
Dopo anni in cui è stata attivista AIESEC, Valentina ha deciso che era giunto il momento giusto di partire per la sua prima esperienza di volontariato all’estero.
08:30. Caffè, fette biscottate con la marmellata e lo squillo della chiamata Skype che risuona in tutta la casa. Dall’altra parte dello schermo del computer, mi risponde Vittoria, una romana doc che, grazie ad AIESEC e al suo programma Global Volunteer, ha svolto un progetto di volontariato di sei settimane in Indonesia all’insegna della salvaguardia dell’ambiente e della maggior consapevolezza della sovrapproduzione di plastica e del cambiamento climatico (vedi la nostra sezione sulla lotta alla plastica).
La lezione del mattino (è al penultimo anno di Giurisprudenza a La Sapienza di Roma) è saltata, quindi abbiamo un po’ di tempo per parlare.
Ciao Vittoria! Grazie mille per aver accettato di rispondere a qualche domanda! Pronta ad iniziare?
Certo!
Perché hai deciso di fare un Global Volunteer? Come ti sei mossa per trovare il progetto di AIESEC?
“Negli ultimi due anni sono stata membro di AIESEC (più precisamente del comitato di Roma Sapienza), ricoprendo diversi ruoli, fino al mio ultimo incarico da Vice Presidente dell’area “Global Entrepreneur & Talent” che si occupa di stage e tirocini internazionali. Sono sempre stata affascinata dall’idea di fare volontariato e mi emozionavo ogni volta che un ragazzo o una ragazza raccontava il proprio Global Volunteer e di come questo avesse cambiato la loro vita.
Ho dunque pensato bene che questa volta era la mia chance di fare questa esperienza e mettermi in gioco, soprattutto considerando il posto in cui ho deciso di intraprendere il mio viaggio.
Al momento di scegliere il progetto sapevo che avrei fatto qualcosa relativo all’ambiente ed, in particolare, in Indonesia, Paese che batte gli Stati Uniti in quanto a numero di persone che non credono nell’esistenza del cambiamento climatico, quasi come fosse un credo e non un dato di fatto. Assieme alla responsabile per i progetti di volontariato, ho trovato uno che sembrava essere fatto apposta per me: 6 settimane a Surabaya ad organizzare e prendere parte ad attività per ripulire le zone naturali ed aumentare la consapevolezza della popolazione locale sull’enorme e spaventoso problema dell’inquinamento, in particolare della plastica, che affligge il Paese. Una volta cliccato “apply”, in poco tempo sono stata contattata dal comitato indonesiano, con cui ho fatto un’intervista, dopo neanche una settimana ero stata presa per il progetto, firmato il contratto e… ero pronta per partire!”
Come sono stati i preparativi? Le aspettative e i timori per questa esperienza?
Poiché era il primo viaggio fuori dall’Europa e il primo viaggio in cui sarei stata sola per oltre 22 ore di volo e 2 scali in aeroporti internazionali, ho cercato di prepararmi nel nel modo più meticoloso possibile.
Seguita ed aiutata dai ragazzi di AIESEC Roma Sapienza ed AIESEC Surabaya, da amici che erano già stati fuori dall’Europa e dagli impiegati dei diversi uffici a cui mi sono rivolta, in poco tempo sono riuscita ad avere tutti i documenti necessari (passaporto, biglietti, vaccinazioni necessarie, etc) per partire in modo tranquillo per l’altra parta del mondo.
Inoltre, ho raccolto più informazioni possibili sull’Indonesia, sulla cultura, usi e costumi, ma anche il clima, cibi tipici, posti da visitare una volta finito il progetto: è vero che una persona non sarà mai veramente pronta per il “cultural shock” a cui si va incontro una volta atterrati all’aeroporto d’arrivo (ho impiegato circa 2 settimane ad ambientarmi e a sentirmi meno “pesce fuor d’acqua”), ma credo che leggere, informarsi, sapere il più possibile sul Paese d’accoglienza sia una delle prime cose da fare, soprattutto in caso di soggiorni lunghi come il mio.
Una delle cose che più mi ha colpita è stato la diversa “aria” che si respirava nelle diverse città: la cultura, il modo di vestirsi, parlare, porsi delle persone cambiava molto in base alla religione praticata dalla maggioranza della popolazione, ma, allo stesso, in grandi città come Surabaya o Giakarta, tratti somatici, lingue, colore della pelle, modo di atteggiarsi formavano un mix unico nel suo genere.
Sicuramente i ragazzi di AIESEC (sia del comitato ospitante sia i volontari venuti a svolgere il mio stesso progetto) sono stati fondamentali in queste 6 settimane, senza di loro, onestamente, avrei avuto un ricordo totalmente diverso di questa esperienza.
Hai trovato una situazione positiva o una certa ostilità verso certe tematiche?
Di base il mio lavoro consisteva nel rendere i cittadini consapevoli della situazione climatica attuale e soprattutto sul grave problema della plastica, passando da vere e proprie manifestazioni in piazza alla creazione di lezioni per studenti delle scuole elementari e medie, in cui dovevo trattare le diverse tematiche sul cambiamento climatico ed insegnare le piccole azioni quotidiane che ognuno di noi può fare per salvaguardare l’ambiente.
Un giorno, mentre mi trovavo con gli altri volontari per le vie della città per parlare del cambiamento climatico alle persone del luogo, ho incontrato un altro gruppo di giovani studenti, probabilmente universitari, muniti di megafono per parlare del grosso problema della sovrapproduzione di rifiuti, soprattutto della plastica, che sta soffocando il paese, uccidendo molti animali e cancellando, forse per sempre, quei meravigliosi paesaggi che siamo abituati ad associare all’Indonesia. Allo stesso modo, però, altrettanti ragazzi (forse, ahimé, anche di più), appena ci vedevano andare verso di loro, appena tentavamo di iniziare il discorso, andavano via, ci davano le spalle, ci ignoravano completamente. Il problema è, secondo me, che in tanti sanno tutto questo, ma per diversi motivi, non fanno niente, convincendosi del fatto che non sia un problema loro, criticano gli altri senza fare il primo passo: se il cambiamento, come può essere la riduzione dell’utilizzo della plastica, non inizia da ognuno di noi, dalle piccole azioni nella vita di tutti i giorni, a casa, a scuola, al lavoro, tutto resterà come prima.
Pensi che queste iniziative abbiano un impatto concreto nei contesti in cui operi? In base a quello che hai trovato ed a quello che hai lasciato come valuteresti il tuo lavoro e quello del progetto in generale?
Nel mio piccolo posso sicuramente essere molto contenta di quello che ho fatto: lavorando in diverse scuole, sono entrata in una classe elementare in cui solo due bambine si portavano da casa la borraccia d’acqua piuttosto che la bottiglia di plastica, utilizzata invece dalla maggioranza dei compagni di classe. Alla fine delle sei settimane, ho visto che molti più bambini avevano preferito una borraccia d’acqua riutilizzabile invece della bottiglia di plastica usa e getta.
Sicuramente, per avere un forte impatto concreto saranno necessari molti anni, ma se dopo aver parlato con tante persone, aver fatto attività di informazione e sensibilizzazione, sarò riuscita a rendere anche solo una persone più consapevole del suo impatto nel mondo sarò contentissima.
Si ha consapevolezza in questi paesi dell’Asia del pericolo ambientale e delle conseguenze che può comportare?
Direi sì e no. Da un certo punto di vista, i Paesi asiatici sono più avanti di città come Roma, infatti, in diversi fast food non servono più i bicchieri con il tappo e la cannuccia in plastica e nei bar non è insolito trovare cannucce in bambù (devo dire anche molto affascinante) e l’Indonesia ha diversi provvedimenti per la salvaguardia dell’ambiente, per l’implementazione di metodi di riciclo. Dall’altro, invece, si possono vedere quotidianamente negozianti e baristi bruciare la spazzatura davanti ai propri locali (creando un pericolo di tipo ambientale e di salute), nei negozi frutta a verdura sono imbustate singolarmente, quindi una zucchina corrisponde ad un involucro di plastica ed è quasi impossibile uscire da negozio stesso senza neanche una busta di plastica (addirittura, in alcuni supermercati, c’è una persona specifica addetta all’imbustamento di frutta e verdura).
Una scena in particolare rappresenta, secondo me, questo paradosso: nella prima scuola in cui io e altri volontari eravamo stati invitati a parlare dei cambiamenti climatici, dell’importanza del riciclo e della diminuzione dell’utilizzo di plastica, siamo stati accolti dai professori con grandi sorrisi e con un bicchiere pieno d’acqua, indovina di che materiale? Plastica!
Hai visto con i tuoi occhi l’impatto della plastica nelle spiagge indonesiane, sino a pochi anni fa considerate dei paradisi terrestri?
Credo che la plastica sia il peggior problema dell’Indonesia. Come dicevo prima, la plastica si trova ovunque e viene smaltita poco e male. Durante queste sei settimane, ho avuto l’occasione di piantare degli alberi, che resta il miglior modo naturale per assorbire CO2, pulire le strade della città dalla plastica. Durante il progetto, ho imparato molto, come ad esempio la gestione del riciclaggio in Indonesia e nuovi metodi di riutilizzo delle bottiglie di plastica attraverso la coltivazione idroponica, tecnica che, io e altri volontari di AIESEC, abbiamo insegnato in un piccolo villaggio dell’isola.
Quello che però mi ha colpita di più, in negativo purtroppo, è stato il contrasto fra le spiagge indonesiane che mi ero sempre immaginata come dei paradisi terrestri e quello che mi sono trovata davanti: un giorno,infatti, io e altri volontari abbiamo pulito una spiaggia letteralmente invasa dall’immondizia raccogliendo, addirittura 739 kg di plastica! Più scavavo, più trovavo rifiuti: cannucce, borse della spesa, bicchieri, pezzi di plastica vari e addirittura un paio di boxer! In certi momenti sembrava quasi impossibile sradicare la plastica dalla terra, quasi come se la spiaggia avesse ingoiato tutti quei rifiuti, come se tutta quella spazzatura fosse diventata una parte integrante di quei posti: mi veniva quasi da piangere a vedere i granchi che mi salivano sulle mani e al male che l’uomo stava e sta facendo loro.
Durante un “day off”, sono andata, assieme ad altri ragazzi, a Malang, vicino a Surabaya, casa della “spiaggia tricolore”, un meraviglioso parco naturale… o almeno in apparenza: appena arrivati alla spiaggia, siamo stati raggiunti da una guardia del luogo che, quando ha visto che gli oggetti che avevamo con noi erano in plastica, ci ha multati per “tentato inquinamento”. Una volta entrata in acqua ho capito perché: neanche il tempo di fare un tuffo nell’Oceano, che sono subito stata circondata da un mare di rifiuti. Mi sono subito armata di pazienza, di un cesto e ho raccolto tutta la plastica che sono riuscita. Ciò che mi ha colpita è che le guardie della spiaggia seguissero e multassero solo i turisti, mentre i locali erano liberi di fare un po’ quello che volevano, anche di lasciare rifiuti dopo una giornata di mare con amici e famiglia.
Cosa consiglieresti ai paesi dell’Asia per conciliare sviluppo economico e protezione dell’ambiente in maniera sostenibile?
Ovviamente non ho la risposta in mano, però credo che la chiave della soluzione sia informare e sensibilizzare maggiormente la popolazione (bambini, ragazzi ed adulti), perché sono ancora troppe le persone che pensano che altri debbano fare, invece di prendersi le proprie responsabilità e fare il primo passo per cambiare e migliorare. Durante il progetto “la mia Indonesia”, ho avuto la possibilità di parlare con tante persone più e meno giovani e tutte sembravano aver capito il problema e che la soluzione dovesse partire anche dal piccolo, dalla vita di tutti i giorni.
Cosa vorresti dire ai giovani che vorrebbero prendere parte ad un Global Volunteer, ma non sono ancora sicuri?
Alle persone che stanno considerando l’idea di partire direi “buttati!”, come ho fatto io. Se ti fai prendere dalla paura o dall’ansia non vivrai mai a pieno. Il consiglio di partire proviene da una ragazza poco esperta di viaggi, che non è mai stata da sola in Asia o fuori dall’Europa, che non ha mai viaggiato da sola, che è fissata con l’avere tutto sotto controllo. Eppure è stata un’avventura che ripeterei di nuovo, da cui ho imparato tanto e dalla quale ho ricavato amicizie memorabili e potrei anche dire che una piccola storia d’amore non è mancata. Ogni esperienza è diversa da come la si vive ed io l’ho vissuta sempre sul momento e con filosofia quando il momento non si presentava dei migliori. Il Global Volunteer è tutto l’anno, non scappa, ma i progetti se non li si colgono sul momento sì, quindi direi di prendere l’occasione di dirsi “ma sì, perché no” e partire per intraprendere qualcosa di nuovo con mente aperta e di non farsi scoraggiare dalle aspettative troppo alte. Consiglierei a coloro la cui idea è quella di partire per l’Indonesia come me, di non basarsi sull’idea che hanno di Bali perché la vera Indonesia è molto più di una località turistica, le grandi aspettative che si possono avere di un posto possono essere deludenti per alcuni, e, come si può dire anche per l’Italia, ogni luogo è diverso, ha il suo fascino e la sua cultura.
Quindi ragazzi non fatevi sfuggire l’occasione! Andate sul sito:
Aiesec volontariato internazionale e trovate il progetto perfetto per voi!