Bbiopirateria: cosa vuol dire?
Lo sfruttamento delle risorse naturali e l’appropriazione illegale delle conoscenze tradizionali per scopi economici è noto come biopirateria.
Le origini della biopirateria
Si stima che la biopirateria sia iniziata in Brasile durante il XVI secolo, all’epoca della scoperta di Pedro Álvares Cabral, quando ci fu un intenso sfruttamento del pau-brasil, una specie di medie dimensioni della famiglia delle leguminose. Questa specie, conosciuta scientificamente come Caesalpinia Echinata, rappresenta un nobile tipo di legno ampiamente utilizzato nella costruzione di mobili e altri oggetti, e si distingue anche per il suo potenziale per la fabbricazione di tinture color rubino, una tecnica che veniva utilizzata dalle popolazioni indigene.
L’estrazione intensiva del legno del Brasile e la sua esportazione disorganizzata verso i paesi europei (cioè senza autorizzazione legale, dato che all’epoca non esisteva un’organizzazione politica) può essere considerato il più antico caso di biopirateria in Brasile. Seguirono altri eventi importanti, come l’esportazione illegale di cacao in paesi dell’Africa e dell’Asia intorno al 1740; di semi dell’albero della gomma nel sud-est asiatico negli anni 1870; e anche di cupuaçu, un tipico frutto amazzonico da cui si ricava l’açaí. In questo caso, il frutto è stato brevettato da una società giapponese, impedendo al governo brasiliano di esportarlo con il nome di cupuaçu (a meno che non fossero pagate delle royalties). Brevetto decaduto nel 2004.
Tuttora spesso si parla di biopirateria in riferimento alla Foresta Amazzonica.
Convenzione sulla diversità biologica (1992)
Durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo (Eco-92), tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, fu stabilita la Convenzione sulla diversità biologica.
Gli obiettivi della convenzione includono “la conservazione della diversità biologica, l’uso sostenibile dei suoi componenti e l’equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche… tenendo conto di tutti i diritti su tali risorse e tecnologie”.
I paesi firmatari sono anche obbligati a “rispettare, preservare e mantenere le conoscenze, le innovazioni e le pratiche delle comunità locali e dei popoli indigeni con stili di vita tradizionali rilevanti per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica”, così come a “incoraggiare la condivisione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzo di tali conoscenze, innovazioni e pratiche”.
Queste linee guida hanno stabilito, quindi, che ogni paese ha il diritto sulle sue risorse naturali, e che le sue aree non devono essere sfruttate senza la dovuta autorizzazione, condannando i pilastri che sostengono la pratica della biopirateria.
Definire la biopirateria
Possiamo “definire” la biopirateria come un’appropriazione di risorse e conoscenze tradizionali associate alla biodiversità senza l’esplicita autorizzazione del governo e della comunità dove la risorse viene estratta, una sorta di brigantaggio.
Così, la biopirateria può essere descritta fondamentalmente come lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e l’appropriazione indebita delle conoscenze tradizionali.
Tale pratica genera danni economici, ambientali e culturali al paese, attraverso la perdita di profitto nella commercializzazione delle risorse naturali, il loro sfruttamento intensivo, e la commercializzazione dannosa delle culture tradizionali (cioè dove c’è sfruttamento della conoscenza senza condivisione dei benefici), rispettivamente. Il traffico di animali è un evento comune nella biopirateria ed espone questi individui a maltrattamenti e condizioni malsane. Può anche colpire la comunità nativa nelle regioni in cui queste specie esotiche sono introdotte, causando gravi impatti sulla biodiversità.
Purtroppo ancora oggi sono tanti i casi di sfruttamento delle risorse da parte di multinazionali o di governi autoritari anche se il termine “biopirateria” non è forse troppo noto, anche per questo come NaturalMania abbiamo voluto parlarne seppur in termini generici.
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