Intervista all’autore del libro ‘effetto serra effetto guerra’ il climatologo Antonello Pasini
I cambiamenti climatici in atto stanno producendo in vari parti del pianeta mutamenti nel modo di vivere delle persone e della fauna che devono sapersi o potersi adattarsi a situazioni nuove, pena la perdita delle condizioni necessarie per una vita dignitosa. Siccità e carestia, associate a instabilità politica cronica, possono dar vita a sanguinose guerre locali e a migrazioni di massa verso il nord del pianeta alla ricerca di un futuro migliore, nonostante il rischio di finire lungo il tragitto nelle mani di mercanti di esseri umani per poi venire stipati in imbarcazioni precarie con la possibilità concreta di morire annegati. Ma questo rischio per tanti disperati è comunque una posta migliore che rimanere in paesi e in zone dove la lotta per sopravvivenza è diventata quotidiana.
Natural Mania Magazine ha intervistato il noto climatologo italiano del Cnr Antonello Pasini, autore del libro ‘Effetto serra, effetto guerra‘ chiedendogli la sua opinione sulle possibili conseguenze dei devastanti incendi che in questa estate 2019 stanno colpendo Alaska, Siberia e Amazzonia sui cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacciai nelle zone artiche. Abbiamo voluto porre l’accento sulle conseguenze di questi fenomeni in determinate aree del pianeta soggette a povertà e carestia e se vi sia una collegamento tra i cambiamenti climatici, le guerre locali e le migrazioni di massa, soprattutto nel sud del mondo.
Lei in un dettagliato articolo sul suo blog ‘Il Kyoto fisso’ ha evidenziato come le temperature artiche stiano salendo in maniera sensibilmente maggiore rispetto al resto del pianeta. Alla luce dei devastanti incendi estivi che stanno colpendo Alaska ed in Siberia, cosa potrebbe succedere nel breve e medio periodo?
“Sicuramente questi avvenimenti non fanno bene e contribuiscono a peggiorare la situazione in termini di aumento delle temperature e del conseguente scioglimento dei ghiacci, le polveri che si creano a causa degli incendi vanno a depositarsi sui ghiacciai rendendoli più scuri contribuendo ad acuire il problema. Questi fenomeni sono dovuti anche alla fuliggine emessa dagli scarichi delle automobili e dei camini, soprattutto per le emissioni dei paesi vicino all’artico. Si tratta di un cambiamento della riflettività della superficie che da ghiacciata respingeva indietro le radiazioni solari mentre ora scurendosi tende ad assorbire le radiazioni facendo riscaldare la superficie. I devastanti incendi di quest’anno hanno un impatto fortemente negativo anche negli ecosistemi di quelle regioni che ne escono in parte compromesse a livello sia naturalistico che di biodiversità, per non parlare della produzione che vi è stata di anidride carbonica”
Pensa che potrebbero esserci conseguenze già da questo autunno in termini di fenomeni estremi come uragani, ma anche forti trombe d’aria come quelle che si sono verificate negli ultimi anni in Italia?
“Non è possibile affermare questo con certezza, sicuramente questo fa sì che l’aria fredda più fredda non venga confinata sempre nel Polo Nord ma scenda su Europa e Stati Uniti che paradossalmente in tempi di cambiamenti climatici potrebbero portare a sciabolate di freddo artico anche da noi, come del resto sono già avvenute. Il riscaldamento globale porta all’aumento dei fenomeni violenti questo è risaputo, il mare caldo evapora più velocemente ciò comporta la creazione di nubi e libera energia nell’atmosfera che poi si scarica a terra, questo comporta un aumento degli eventi estremi”.
Tutta questa massa d’acqua che finisce in mare a causa dello scioglimento dei ghiacciai cosa potrebbe comportare? Come dovrebbero comportarsi le persone vengono danneggiate da queste situazioni?
“I danni sono innumerevoli e nell’attesa che politiche lungimiranti limitino le conseguenze nel breve e medio periodo vince chi si riesce ad adattare ai cambiamenti. I ghiacciai sappiamo benissimo che sono riserve idriche importanti, facciamo l’esempio della Pianura Padana questa risente molto di quello che succede nelle Alpi e comporta danni all’industria all’agricoltura. La produzione del mais nel recente passato è stata danneggiata da periodi prolungati di siccità, paradossalmente quello che è giunto a maturazione ha sviluppato una tossina tanto che lo ha reso inutilizzabile per gli alimento ed è stato venduto per la produzione di biodiesel. Poi tutta la questione del turismo anche perché l’altezza media dove cade la neve si sta alzando e le stazioni sciistiche più in basso hanno grossi problemi ed è inutile e dannoso continuare ad utilizzare cannoni da neve per sopperire al problema. Vince chi invece di affittare sci sceglie di affittare mountain-bike e promuovere il trekking. Le strategia numero uno è naturalmente quella di ridurre i gas serra ma anche sapersi adattare ai cambiamenti, una parte dei danni climatici li abbiamo già e sono il frutto non dell’inquinamento di attuale ma di quello che è stato prodotto negli anni 70 e 80. Le lotte attuali per la riduzione dei gas serra sono per evitare danni maggiori”.
Kyle Harper nel libro ‘il destino di Roma’ attribuisce un ruolo importante dei cambiamenti climatici di allora nella crisi e nella caduta dell’Impero Romano, mentre lei nel libro ‘Effetto serra, effetto guerra’ attribuisce un ruolo decisivo dei cambiamenti climatici nelle crisi migratorie in atto e nell’aumento delle guerre locali. Ci parli di questo aspetto che molti sottovalutano, ma che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto…
“La correlazione tra cambiamenti climatici, guerre e carestie è un fenomeno provato da fatti e dati. Per esempio in Siria prima della guerra ci sono stati 4 anni di enorme siccità dove i contadini hanno perso i raccolti e si sono inurbati nelle città, questo fattore assieme ad un regime corrotto e alla primavera araba hanno portato la situazione ad esplodere nella terribile guerra civile che conosciamo. In uno degli ultimi post realizzati nel mio blog ‘Il Kyoto fisso’ parlo delle emigrazioni dal Sahel all’Italia dal 1995 al 2009, basandomi su una ricerca condotta da me e dal collega Stefano Amendola in cui viene fuori come nel 80% la variabilità dei flussi migratori è spiegata dalle variazioni meteo/climatiche e dei raccolti. I cambiamenti climatici in se per se n on innescano nuove crisi ma amplificano i problemi cronici di questi stati. L’immigrazione è un fattore importante della storia dell’umanità è non è da considerarsi negativo se è vissuto con consapevolezza e con il desiderio di andare in un altro posto per costruirsi un futuro. Bisogna far sì che queste persone debbono decidere se scegliere o no se vivere in quelle terre e non produrre fughe di massa di migliaia di disperati che scappano da guerre e siccità”.
Esistono ricette valide per questi paesi ‘dimenticati’ del mondo…
“Per esempio provare a far tornare ad essere verdi dei territori desertificati sarebbe un vantaggio per le persone e per la lotta contro l’effetto serra. I modi per farlo ci sono e non sono nemmeno eccessivamente costosi, bisogna però che qualcuno dia una mano a questi stati e alle popolazioni interessate per realizzare questi obbiettivi, sarebbe interesse di tutti. Nel Sahel fino a che c’erano risorse i contadini andavano d’accordo con gli allevatori e la gente non era costretta ad emigrare, ora quell’equilibrio si è spezzato e in questi paesi prolifera il terrorismo che offre un alternativa e soldi a persone disperate. Ve detto che in un sistema sinergico come quello in cui viviamo adesso bisogna avere una strategia globale che contribuisca a risolver più problemi locali, ma con gli stessi obbiettivi di fondo. Avere quella che viene definita una visione sistemica”.
Bisogna quindi trovare ricette a livello globale, ma anche locale?
“Negli Accordi di Parigi si dice chiaramente che l’economia del carbone e del petrolio non ha futuro.
La presenza di Presidenti negazionisti in grandi paesi del mondo (Usa e Brasile in primis) fa sì che politiche che darebbero effetti se perseguite costantemente ora subiscano delle fluttuazioni ondivaghe provocando danni. Attualmente scontiamo l’anidride carbonica degli anni 70 e 80. Quindi anche se riuscissimo a rallentare le emissioni i cambiamenti continuerebbero, la situazione attuale è frutto del passato mentre noi bisogna pensare al futuro e per evitare danni ben peggiori bisogna a tutti i costi diminuire drasticamente la produzione di gas serra. E’ previsto che entro fine secolo il 30 % i ghiacciai alpini si sarà sciolto, la battaglia attuale è per evitare che in futuro si arrivi allo scioglimento del 90% della massa ghiacciata. Segnali positivi nella lotta ai cambiamenti climatici arrivano soprattutto da Ue e Cina. Il gigante asiatico ha colto al balzo la scelta di Trump in favore del carbone per diventare leader al mondo dei pannelli fotovoltaici con una quota del 50%. Ma gli sviluppi più interessanti sono partiti dal basso, la popolazione ha fatto una pressione decisiva nei confronti delle autorità nella lotta all’inquinamento che nei grandi agglomerati urbani come Pechino e Shanghai ha assunto negli ultimi anni la forma di un emergenza sanitaria. Ognuno di noi può contribuire a circoli virtuosi e fare una spinta dal basso che conduca al cambiamento epocale auspicabile”.
In un clima di campagna elettorale permeante come quello italiano come si pongono i diversi partiti e qual’è il ruolo che possono giocare gli scienziati?
“Assieme ad altri 18 scienziati di vari rami che si occupano di cambiamento climatico abbiamo stilato un documento dove è stata fatta un’analisi delle questioni ‘climatico ambientali’ che ha il nostro paese e i possibili rimedi basati su soluzioni scientificamente provate e realizzabili con uno sforzo di tutto il sistema politico. L’idea alla base è quella di stimolare un dibattito nel paese sui temi climatici per portare gli elettori ad essere consapevoli e indurre le forze politiche indipendentemente dal colore di porre questi temi nei loro programmi. Abbiamo poi avuto l’idea di creare un sito web www.lascienzaalvoto.it in cui accanto al nostro documento vi sono i punti programmatici di tutti i partiti in modo che l’elettore possa farsi un’idea”.
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